Blow Up (IT)
Nonostante sia considerata l’etichetta che, più di ogni altra in questi ultimi anni, ha rappresentato a livello internazionale un cardine per lo sviluppo di estetica e cultura digitali (o post-digitali), la newyorkese 12k dimostra ad ogni uscita di essere di più e di meglio, ovvero modello di riferimento a tutto tondo per la crescita dell’intera musica moderna. Sicché la più recente pubblicazione si propone (a cominciare dal titolo con le indicazioni delle accordature per le varie corde: E per Mi, A per La, Di per Re etc.) di tracciare l’evoluzione di uno strumento come la chitarra, di solito poco associato al mondo digitale, ma che nel corso dei suoi tanti secoli di storia (raccogliendo direttamente l’eredità dal liuto arabo, le sue origini risalgono al 1200) ha vissuto modifiche di impiego, modalità d’uso, funzione e trattamento. In particolare, dall’introduzione dell’elettricità prima (pick-ups, effetti, amplificatori, circuiti di processing) e della tecnologia digitale (computer, DSP, programmi di software) poi, a partire dal XX secolo lo strumento è diventato qualcosa di diverso da come lo si conosceva e concepiva. Ecco allora i nipponici Fonica replicare le straordinariamente sognanti atmosfere di “Ripple”, grumi minuti, oggettini delicati e labirinti di suoni minimi, o il francese Sébastien Roux (già attivo con le sigle Rabbit’s Sorrow, Oldine e Un Automne a Lobnor) mimare un incrocio tra Fennesz e Labradford, melodica narcolessia fatta di minimali tessiture, inceppamenti e zoppìe, laddove Christopher Willits stappa leggeri spumantini, frizzanti di bollicine glitch quasi indietronics, col solo Keith Fullerton Whitman a ripiegare su più tipica interfaccia chitarra/processing digitale. Un’altra scommessa (vinta) di Taylor Deupree. (8/9)